Altri titoli: What Are You Looking For
Regia Marco Simon Puccioni
Soggetto Marco Simon Puccioni
Sceneggiatura Marco Simon Puccioni
Fotografia Paolo Ferrari
Musica originale Cristiano Fracaro
Musiche di repertorio Michael Galasso, Redemption
Suono Federico Fornaro
Montaggio Federico Schiavi
Effetti speciali Paola Trisoglio, Emanuele Comotti
Scenografia Marta Zani
Costumi Sergio Maria Minelli
Trucco Loredana Spadoni, Simona Natale
Aiuto regia Francesco D. Ciani
Interpreti Marcello Mazzarella (Impero Ricci), Stefania Orsola Garello (Rosa Moroni), Antal Nagy (Davide Caselli), Carolina Felline (Maria), Antonella Attili (Agnese), Lulu Pecorari (Francesca Caselli), Monica Comegna (Michèle), Francesco Bottai (Francesco Caselli a vent’anni), Gabriele Di Romeo (Davide a tre anni), Fabio Trapani (Frico), Giovanni Scarpulla (guardia giurata), Sergio Grossini (portiere Ostia), Corrado Marengo (Vito), Stefano Saccarola (Doge), Beatrice Bortoluzzi (Bea)
Casting Fabiola Banzi
Ispettore di produzione Gianfranco Zedde
Produzione Mario Mazzarotto per Intelfilm
Distribuzione Lantia
Note Collaboratore alla sceneggiatura: Massimo Bavastro; secondo operatore: Marco S. Puccioni; assistente operatore digital betacam: Marco Stoppani; assistente operatore DvCam: Michele De Trucco; fotografo di scena: Florence Bechu; suono in presa diretta; montaggio del suono: Marta Billingsley; assistenti al montaggio del suono: Gianluca Cristofano, Ugo Mangini; consulente al montaggio: Babak Karimi; assistente al montaggio: Felice D’Agostino; mixage: Andrea Malavasi; assistente alla regia: Vincenzo Mineo; altri interpreti: Carlo Alberto Bertola (Carlo), Massimiliano Maraucci (Murad), Igor Pedaci (Igor), Vanessa De Pietro (prima amica di Davide), Francesca Monticone (seconda amica di Davide), Giulio Squillacciotti (Luca), Iride Castellucci (signora a Ostia), Gianfranco Zedde (Antonio), Vincenzo Di Tella (ragazzo allo zoo), Italo Todde (primo spacciatore), Ciro Devino (secondo spacciatore), Carlo Palazzo (inserviente dello zoo); segretaria di edizione: Lorena Guglielmucci; organizzazione generale: Maria Barbara Spina; segretaria di produzione: Roberta Mancia; partecipazione alla produzione: TELE+ .
Il film è stato realizzato con il sostegno della Regione Piemonte e il patrocinio del Comune di Torino.
Locations: Torino, Firenze, Napoli e Roma.
Premi: Premio a Paolo Ferrari per la Migliore Fotografia al Festival del Cinema Europeo di Lecce 2002; Prix Amilcar du Jury Jeune al Festival du Film Italien de Villerupt 2002;
Premio del Pubblico e Premio Migliore Film al Los Angeles Italian Film Awards 2002; Premio "Napapijri" a Marcello Mazzarella per il Migliore Attore a Noir in Festival 2002.
Sinossi
Impero, investigatore privato, ha il compito di proteggere e sorvegliare Davide, un giovane sbandato figlio di un suo vecchio amico. I due compiono insieme un lungo percorso attraverso tutta l'italia, tra riflessioni filosofiche e atmosfere surreali. Si tratta di un giallo che vuole essere anche metafora esistenziale.
Dichiarazioni
«In una società dove i padri sono assenti e tutti sembrano impegnati a ricercare la propria identità ero interessato a raccontare il legame padre figlio tra due persone che non sono parenti. Il punto di arrivo è stato il racconto di una liberazione dalla depressione e dall'ansia del possesso. […] Girato prima del G8 di Genova, il film ha alcune soprendenti analogie con i fatti accaduti» (M.S. Puccioni, Note di regia, Cartella stampa della Produzione).
«A più di un anno dai tragici fatti del G8 di Genova una parte degli intellettuali italiani sembra finalmente aver trovato una nuova piattaforma di discussione e un terreno di confronto che dai tempi della mafia e delle BR, e prima ancora della lotta partigiana, non impegnava così tanto le coscienze degli artisti in uno sforzo corale di rinnovamento. E così accanto a scrittori, giornalisti e cantanti in difesa dei principi anti-globalizzazione è sceso in campo tutto il nostro gota di registi e autori cinematografici. […] Adesso, anche l' esordiente Marco Simon Piccioni, si confronta su questo tema con il suo primo lungometraggio, Quello che cerchi. […] Il film si apre con una sequenza che ricorda l'inizio di Christiana F e i ragazzi dello zoo di Berlino: attraverso un lungo carrello vediamo la corsa disperata di Davide che, armato di estintore, colpisce la vetrina di un negozio. A differenza di Christiana e i suoi amici, che colpivano per puro gusto di vandalismo, Davide sceglie bene il suo bersaglio. Così infrange sotto i nostri occhi il logo di Calvin Klein che troneggia in una vetrina di un negozio di Torino. Poco dopo, lui e suoi compagni si armano di tute bianche e fanno irruzione in un’industria che conduce test di laboratorio su animali geneticamente modificati. Le scorribande di Davide finiscono qui ed è il momento per lui dell'incontro con Impero (Marcello Mazzarella), un investigatore privato cui è stato affidato il compito di proteggerlo. Come nota Mario Sesti, già il nome del detective rievoca scenari neocolonialisti e rimanda all'omonimo saggio di Toni Negri considerato la Bibbia dei No global. Dopo l'incontro con l'uomo, lo scontro sociale di Davide si trasforma in una ricerca esistenziale delle sue origini e con il detective parte alla scoperta di una madre mai conosciuta. Come quella di Carlo Giuliani, anche l'immagine di Davide “vive” attraverso le riprese delle telecamere che invadono il tessuto cittadino, e nel film i fotogrammi di pellicola sono spesso intervallati da brevi sequenze in cui il ragazzo appare nelle riprese in bianco e nero o virate di qualche telecamera di turno: durante una festa, in un parcheggio, nel laboratorio. La cronaca viene capovolta dalla finzione e così Davide viene ripreso da una telecamera (la “televisione” come la chiama la guardia) mentre colpisce, non si sa con quali conseguenze, un poliziotto che gli aveva intimato di fermarsi. Il film denuncia, in maniera efficace, il clima da Grande fratello nel quale si vive nelle nostre grandi città, dove spesso le libertà individuali sono vanificate dall'eccessiva sovraesposizione e visibilità cui ognuno di noi è involontariamente sottoposto. Pur toccando momenti alti, soprattutto grazie all'uso di una fotografia espressiva, la pellicola è spesso mortificata dalla recitazione degli attori che non sempre rendono giustizia alla complessità della trama e all'evoluzione dei loro personaggi. […] Si può dire che il film riesce bene laddove affronta, anche con forti spunti polemici, temi d'attualità ed esperienze di vita giovanili (quelle della comunità vegan di Torino). Meno fortunato e più zoppicante il secondo tempo, quando Davide e Impero cominciano il loro viaggio alla ricerca di loro stessi e del loro passato, Con queste premesse di Quello che cerchi, probabilmente, se ne parlerà più per gli spunti che offrirà alla cronaca che per le sue qualità espressive» (f.c., “Cinemasessanta” n. 3/265, maggio/giugno 2002).
«Non capita spesso che il titolo di un film ne sintetizzi esattamente la storia: è il caso di Quello che cerchi, lungometraggio d'esordio di Marco Simon Puccioni, che oltre a dirigerlo ne ha anche scritto la sceneggiatura. Protagonista della vicenda è Impero, classico esempio di investigatore privato disilluso, ormai assuefatto ad una vita priva di emozioni ed in piena stasi relazionale: il caso che ridesta la sua attenzione arriva da un committente particolare, ovvero Francesco, il suo miglior amico di vent'anni prima, un ex leader generazionale che a quarant'anni suonati ha deciso di cambiare sesso e diventare Francesca. Impero è assunto da Rosa, da anni compagna di Francesco, per tenere d'occhio ed eventualmente proteggere il figlio dell'amico, Davide, un adolescente irrequieto che pare aver eletto la purezza a stile di vita: non beve, non fuma, non si droga ed è un vegetariano integrale, un vegan, oltre che un no global sempre pronto ad agire contro la multinazionale di turno. Davide è animato da un'ansia affettiva causata da una parte dalla metamorfosi paterna, dall'altra dall'irrisolto rapporto con la madre Michelle, che ha lasciato anni prima figlio e marito: il caso vuole che Michelle sia anche stata l'unica donna di cui Impero si sia veramente innamorato. Quello che cerchi prosegue facendoci conoscere il ragazzo dall'ottica da voyeur professionale dell'investigatore, nella cui mente comincia progressivamente a farsi strada il dubbio che il giovane possa essere il figlio mai avuto, enigma che solo l'irreperibile Michelle potrebbe risolvere. Un'incursione del gruppo di Davide in un laboratorio biotech costringe Impero ad interrompere il suo monitoraggio passivo e ad entrare in scena direttamente: sorpreso dalla sorveglianza, Davide ha infatti ferito una guardia giurata ed Impero si è offerto di accompagnarlo da Torino a Napoli, dove ha amici che possono tenere nascosto il ragazzo in attesa di tempi migliori. Il film prosegue sui binari di un road movie d'incontro intergenerazionale in cui, tra un campo nomadi in notturna ed un suggestivo tramonto marino, i due protagonisti faranno amicizia superando le iniziali diffidenze, uniti dalla costante ricerca di legami affettivi: Davide per Impero è la chimera di una paternità irrealizzata, l'intorpidito investigatore per il ragazzo è invece la possibilità di materializzare l'ectoplasmica presenza della madre Michelle, fil rouge di collegamento con il compagno di viaggio. Un esordio convincente e piuttosto originale sotto il versante visivo, in continua altalena tra passato e presente, tra squarci esistenziali e prospettive voyeuristiche» (P. Boschi, “Scanner”, 2002).
«Nonostante vanti crediti quasi sorprendenti (è piaciuto a Nanni Moretti, ha vinto - e non si capisce bene il perché - premi a Courmayeur, Lecce, Los Angeles...), Quello che cerchi risulta un’operina pretenziosa, girata in stile videoclipparo, che non sa riscattarsi neanche attraverso la recitazione del suo protagonista (il Placido Rizzotto scimechiano, Marcello Mazzarella), bravo certo, ma senza “il fisico del ruolo”. Dovrebbe, infatti, essere credibile in panni di detective e di padre “moderno” che forse ha trovato il (un) figlio, forse no. Ma ha una faccia antica (non a caso ha interpretato, per Ruiz, Marcel Proust) e con le dinamiche esistenziali contemporanee c’azzecca assai poco. Il regista Puccioni tenta di scombinare un po’ le carte - l’incipit che è anche la fine, la cinepresa che balIa nell’aria, il montaggio che non sta fermo come fosse un bambino che non sa ancora camminare - per celare un evidente smarrimento. Invano» (A. Fittante, “Film Tv” n. 24, 2002).
«Quello che cerchi è il bell'esordio di Marco Simon Puccioni; profetico e dedicato alla generazione “no logo”, ma capace di scavare ancora più a fondo, portando quell'occhio privato più verso il Deckard di Blade Runner che verso il Marlowe di Raymond Chandler. E individuando nel patto di tutela e di scambio che lega le generazioni il punto di frattura decisivo del mondo di oggi. Senza fare sociologismi né facile psicologia, ma lavorando sugli ambienti, sugli attori, sulle immagini rielaborate in digitale da Paolo Ferrari, insomma partendo dal sociale per puntare all'inconscio. Un bel segnale di vitalità» (F. Ferzetti, “Il Messaggero”, 7.6.2002).
«Il regista Marco Simon Puccioni, che è al suo primo lungometraggio, dice d'aver voluto fare un film inquieto su insolite forme “d'amore” […] Il soggetto interessante e singolare si arricchisce nello stile, specialmente originale, e nel modo di affrontare storie spinose» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 7.6.2002).
«Il regista, già coordinatore del progetto “Intolerance” (50 cortometraggi di altrettanti autori aventi come legame il tema dell’intolleranza) e, con Chiesa, Ferrario, Leotti e Vicari, autore del documentario “Partigiani!”, più che una decomposizione dell’apparato dominante ne attua una ricomposizione, costruendo un percorso di domande finalizzate alla risposta da cui prendono vita (che il “demiurgo” conosce, come ci annuncia nel titolo). […] il progetto parte dalla volontà di dare forma ad un’ideale, che è quanto c’è di più diverso dall’idea (nel accezione “lynchiana”). Seguendo questa linea Puccioni disegna personaggi rigidi, portatori di un senso preciso (intuibile già dai nomi: Impero, Davide), costretti ad una parte che li renda “icone generazionali” e contemporaneamente li svuota di unicità e gli vieta apporti creativi. La coscienza, etica ed estetica (è sinceramente dichiarata la volontà di agire socialmente attraverso il cinema), che traspare dal progetto della IntelFilm, di cui Puccioni è direttore artistico e Mario Mazzarotto (qui produttore) general manager, appesantisce il film con trovate improvvise e aprioristiche […]. Il “meticciato” cercato dal punto di vista stilistico […] e formale (per le riprese sono stai usati vari formati dal 35mm al DV Betacam, all’ High Definition) rendono un effetto tra lo zapping e il videoclip (e l’impatto migliora quando è sfruttata la potenza audio e visiva), che però non arriva mai alla sovversione di uno Tsukamoto e resta sterile formalismo/modernismo. Quanto resta sono sessualità problematiche buone per farne copertine dell’Espresso, etichette da sventolare sugli stessi giornali per i servizi “sondati” sulle “X generations”, un percorso logico speculare a quello degli odiati “globalizzatori” (idee da applicare a tutto il mondo che finisce per perdere le caratteristiche peculiari/locali)» (F. Baglivi, www.sentieriselvaggi.it, 19.6.2002).
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