Altri titoli: Blood of the Losers
Regia Michele Soavi
Soggetto Dardano Sacchetti, Massimo Sebastiani, dal romanzo omonimo di Giampaolo Pansa
Sceneggiatura Dardano Sacchetti, Massimo Sebastiani
Fotografia Giovanni Mammolotti
Musica originale Carlo Siliotto
Suono Filippo Porcari
Montaggio Anna Napoli
Effetti speciali Stefano Marinoni
Scenografia Andrea Crisanti
Costumi Sergio Ballo
Interpreti Michele Placido (Franco Dogliani), Barbora Bobulova (Anna Spada/Costantina), Alessandro Preziosi (Ettore Dogliani), Stefano Dionisi (Kurt), Philippe Leroy (Umberto Dogliani), Giovanna Ralli (Giulia Dogliani), Alina Nedelea (Lucia Dogliani), Ana Caterina Morariu (Elisa), Valerio Binasco (Nello Foresi), Massimo Poggio (Vincenzo Nardi), Raffaele Vannoli (Petrucci), Luigi Maria Burruano (Mario Vagagini), Tony Sperandeo (Salustri), Vincenzo Crivello (Caronte), Hary Prinz (uomo Gestapo)
Casting Gianfranco Cazzola
Direttore di produzione Miriam Bertaina
Produzione Alessandro Fracassi, per Media One Entertainment
Distribuzione 01 Distribution
Note Collaborazione alla sceneggiatura: Michele Soavi; altri interpreti: Pier Luigi Coppola (Vittorio), Tommaso Ramenghi (Marò), Flavio Parenti (Riccardo Barberi), Daniela Giordano (Maria Rossini), Teresa Dossena (Elisa bambina); organizzatore generale: Marco Alfieri; collaborazione alla produzione: Rai Cinema.
Locations: Torino, Roma.
Sinossi
1943. Il commissario di polizia Francesco Dogliani trova il cadavere di una prostituta e la sua bambina subito prima che gli Alleati bombardino Roma. Deciso a risolvere il caso prosegue nelle sue indagini, mentre intorno a lui infuria una guerra civile che dilania la sua stessa famiglia, con il fratello Ettore nelle bande partigiane e la sorella Lucia decisa a unirsi ai combattenti repubblichini. A cinquant’anni di distanza, come un Antigone maschile, Dogliani sta ancora cercando la giusta sepoltura per uno dei suoi due fratelli.
Dichiarazioni
«Raccontare oggi, a distanza di decenni, una storia come Il Sangue dei Vinti ispirata al libro di Giampaolo Pansa, autore che ha “osato” fare luce su alcune stanze buie della Resistenza, sembra inopportuno. Eppure la mia generazione si è fatta un’idea su ciò che è stata la guerra civile solo attraverso i racconti di genitori e parenti, oltre naturalmente che sui libri di storia. Nel film si parla di Resistenza ma anche di Guerra civile, quindi di fratelli che uccidono i fratelli, come nel film Il vento che accarezza l’erba di Ken Loach. Anch’io da antifascista mi interrogo su quelle verità che abbiamo assunto come certe senza ombra di dubbio. Nessuno vuole riscrivere la storia né aggiornarla. Semplicemente, lontani da pregiudizi politici, e senza voler vilipendere avversari di qualunque colore essi siano, ho fatto un film che vuole toccare corde emotive diverse e più profonde, con uno sguardo morale che vuole evitare polemiche. Sofocle ha scritto l’Antigone sollevando il diritto alla sepoltura anche per il nemico vinto. Questo film inizia con la scena teatrale in cui Antigone chiede la sepoltura del fratello ucciso in battaglia. Essendo un vinto e non un eroe, il fratello doveva restare insepolto, esposto ai cani. Come Antigone, il protagonista del film si muove anche per ritrovare e seppellire i resti di una sorella repubblichina, della quale non condivideva le idee. Come non condivideva quelle del fratello partigiano. Ho adottato uno stile da combat film, senza attori patinati né troppo pettinati, divise logore, tanti visi emaciati dalla fame. La fame: oggi non la conosciamo ma vorrei che in ogni inquadratura ci fosse questa sofferenza. Una fotografia livida, decolorata dove anche il sangue non riesce ad essere rosso ma quasi nero. Un’ambientazione realistica anzi iperrealistica, cruda e molto definita in luoghi veri che hanno vissuto questa storia e ancora la respirano. (M. Soavi, www.01distribution.it/areapress1/materiale/137).
«Io questo film l'ho fatto da antifascista, pensando però che sia giusto raccontare anche gli errori dei partigiani. Anche la mia famiglia in quegli anni era spaccata, da parte di mia madre erano ebrei e invece mio padre si arruolò con i repubblichini» (M. Soavi, “La Stampa”, 27.10,2009).
«Gli sceneggiatori, scrivendo questo film, non hanno voluto rileggere la storia, tantomeno scoprire cose in realtà già note e ininfluenti rispetto al valore della Liberazione. Semplicemente hanno raccontato di sentimenti e situazioni emotive in un contesto particolare, ricorrendo anche al genere, proprio per rimarcare il carattere di storia con la “s” minuscola, nel rispetto però del tanto sangue versato da tutte le parti» (D. Sacchetti, M. Sebastiani, www.01distribution.it/areapress1/materiale/137).
«Non è stato il successo editoriale né tantomeno il clamore delle polemiche a spingermi a produrre questo film che definire difficile, per non dire impossibile, è un eufemismo che lascia appena intravedere i tanti ostacoli di ogni natura che hanno reso impervia questa realizzazione. In realtà, sono stato mosso quasi da uno spirito di servizio. Volevo, lo dico con grande modestia, dare un piccolo contributo al paese. Un contributo non per riaccendere polemiche, ma al contrario per fare un passo avanti. Per seppellire definitivamente i morti, con rispetto per tutti, e con quelli seppellire quella frattura che, dal momento della riconquistata libertà ad oggi, e sono passati decenni, ancora ci impedisce di essere un paese normale, con più cose condivise che divisioni ideologiche. Certo mi premeva anche non una riscrittura della storia, ma una rilettura con occhi più pacati e più giusti. Non so se gli obiettivi che mi ero proposto sono stati raggiunti, ma abbiamo fatto del nostro meglio pur navigando in acque molto agitate» (A. Fracassi, www.01distribution.it/areapress1/materiale/137).
«Io, che da sempre voto a sinistra, sono contento di mostrare al pubblico un’angolatura, un punto di vista diverso: se un comunista, in passato, si è comportato come un nazista, è un nazista. Pansa ha avuto il coraggio di mettersi in discussione e di smuovere le coscienze. Io, forse, ho avuto più coraggio di altri colleghi ad accettare il ruolo, anche se quando ho dovuto indossare la camicia nera ho avuto un moto di ripulsa» (M. Placido, “Corriere della Sera”, 17.12.2007).
«La Resistenza per molti rappresentava il riscatto da una situazione inaccettabile. Dei suoi errori non si è mai molto parlato. Il quadro storico di quel periodo mi sembra incompleto. A parte le scelte ideologiche credo che sia giusto ricordare, anche considerando il fenomeno della Resistenza, un diffuso senso di disorientamento perché l’Italia ha reagito a due problemi contemporaneamente: il nemico Tedesco che imperversava in Italia e il nemico Americano che bombardava le città. [… Il mio personaggio] è un ragazzo alla ricerca di una identità. Partecipa a massacri con la convinzione di punire il nemico e vive questa situazione tragica come chi si sente dalla parte del giusto» (A. Preziosi, “la Repubblica, 14.10.2008).
«Confuso e contraddittorio, Il sangue dei vinti non ha certamente il fascino dell’[opera controversa e non si offre con spunti di condivisibile problematicità; sembra al contrario onorare innanzitutto coloro che stavano dalla parte della Repubblica di Salò, sulla scorta di un risarcimento livoroso, mentre i partigiani sono ritratti alla stregua di lestofanti. Il piglio semplificatorio, altrove carico di guizzi espressivi come nel fumettistico DelIaMorte DellAmor-e, trascolora nell’indeterminatezza propria di una certa omologazione dal sapore televisivo. È beneaugurante che il cinema torni a riflettere su quei giorni (lo ha fatto con lo sguardo dello storico anche il Lizzani di Hotel Meina) e l’effetto didascalico può essere un esito in cui sfocia l'intento didattico. Ma la speculazione politica a cui Il film di Soavi attinge e perviene non fa che sostenere una visione manichea» (R. Lasagna, “Duel” n. 53, giugno 2009).
«Prima ancora che a una puntuale analisi, di tipo estetico e in chiave storica, Il sangue dei vinti che Michele Soavi ha liberamente costruito intorno al discusso libro di Giampaolo Pansa spinge a una riflessione terminologica. La struttura stessa del film e la sua evidente posizione contenutistica sembrano mettere in campo due definizioni, quella di Resistenza e quella di guerra civile, che sarebbero capaci di offrire due spiegazioni di quanto avvenuto in Italia tra il settembre del 1943 e l'aprile del 1945. Le due definizioni giustificherebbero per un verso la visione di lotta contro il nazifascismo (la Resistenza, appunto) e per l'altro la drammatica lotta fratricida che ha letteralmente diviso in due il nostro Paese. Il risultato dovrebbe definire una netta scelta di campo in relazione alla preferenza accordata all'una o all'altra espressione. […] In realtà la storiografia ha già da tempo superato questo fastidioso bivio e, al di là e prima dei più famosi scritti di Pansa […], la questione non è più terminologica […]. Cosa cambia, infatti, nel giudizio storico l'utilizzo dell'uno o dell'altro termine? Se si considera che nella guerra civile combattuta tra giovani antifascisti e giovani repubblichini i valori in campo erano quelli della libertà da una parte e della difesa dell'onore dell'Italia fascista dall'altro, cambia nulla. Detto questo, il film di Soavi propone un'ottica visuale da guerra civile. […] Soavi utilizza, tra le altre cose, il richiamo all'autorità dei classici. La sottotraccia ideologica del film è dunque confortata dal dramma di Antigone e dalla necessità di dare degna sepoltura ai propri morti. […] Revisionismo o non revisionismo, in questo caso non si-dovrebbe temere di prendere parte e dire quel che c'è da dire. Ferma restando la liceità che ognuno seppellisca i propri morti e ferma restando la consapevolezza che in una guerra civile può drammaticamente capitare che ci si uccida tra fratelli, chi ha combattuto per la libertà dal fascismo e per svincolare la Patria […] dalle pericolose morse del nazismo, ha combattuto dalla parte giusta» (A. Coco, “Segnocinema” n. 158, luglio-agosto 2009).
«Come si fa a prendere sul serio una fiction Rai come ll sangue dei vinti di Michele Soavi, presentata al Festival con tutti gli onori d'una proiezione speciale, d'una conferenza stampa, d'un incontro-dibattito con il pubblico? II lavoro tratto (si fa per dire) dall'omonimo libro di Giampaolo Pansa (Sperling & Kupfer) sul periodo 1943-'45 in Italia, non è riuscito. Ogni indignazione pro o contro i partigiani, ogni aspirazione alla revisione storica o al cinema-verità, ogni aspettativa di attuale bomba politica, affoga in un oceano di mélo: sorelle gemelle con scambio di identità; il poliziotto Michele Placido fratello di un partigiano e di una ausiliaria di Salò (per coprire ogni variante), bambina piccola e cavallo bianco emergenti dalle polveri del bombardamento di San Lorenzo a Roma, l'Italia divisa e semplificata da un colpo di fucile che strappa in due la carta geografica, un fascista che si spara in , testa gridando: “A noi!”. […] Retorica, metafore grevi e andirivieni della trama fra il `43 e i giorni nostri cancellano l'emozione. […] Un'altra occasione perduta dalla tv per raccontare un periodo sanguinoso e spinoso di storia italiana, peccato» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 27.10,2009).
«Giampaolo Pansa […] ammette che il film non è il suo libro ma dice che si è commosso, emozionato. Gli è piaciuto. E fa capire che è già stato un miracolo riuscire a vederlo: “Conoscendo i polli del pollaio Italia il film mi basta e addirittura mi avanza. È un passo in più verso una storia mai pacificata”. C'è anche Maurizio Gasparri. Durante la proiezione scuote la testa, si agita, dall'atteggiamento si capisce che quella che finora è stata una polemica di sinistra passa alla destra, delusa da una lettura che non incrina il mito della Resistenza. Le parole sono diplomatiche ma chiare: “II film mi è piaciuto, un bel romanzo, ma non c'è il sangue dei vinti”» (F. Caparra, M. Corbi, “La Stampa”, 27.10,2009).
«Paolo Ferrero sussurra: “I fischi se li merita, questo film. Come film è un brutto film, poco più che mediocre. E nel merito... beh, è una vera porcheria revisionista”. Il nuovo segretario di Rifondazione comunista ha accettato di vedere in anteprima il film con “La Stampa” e ora che scorrono i titoli di coda fa una piccola rivelazione: “Vede, io non sono affatto indignato perché si racconta che delle atrocità accaddero anche ai danni dei repubblichini o della gente che non c'entrava, era la guerra, alcune pagine sono state raccontate, per primi, non da Pansa, da Claudio Pavone. Le sapevamo tutti, tanto più noi piemontesi, pensi che mia madre mi raccontò che durante i rastrellamenti del '44 il suo paesino della Val Germanasca fu bruciato, e la sua casa anche, e non dai tedeschi. I tedeschi erano passati il giorno prima avvisandoli di sfollare.... […] La vera porcheria è che viene fatta un'operazione pericolosa: i personaggi, a prima vista, sono tutti costruiti come nei film di propaganda, non importa se stalinisti o fascisti, cioè senza sviluppo psicologico. Sono delle macchiette. Ma gli unici due che hanno una vita interiore e una personalità un po' intrigante e complessa sono Placido, il commissario Dogliani, e la sorella che si va ad arruolare a Salò. […] Per di più la ragazza repubblichina tiene un diario, salva una bambina e il fratello, uccide, sì, ma viene poi barbaramente rapata e fucilata da... da... ecco, invece i partigiani appaiono come un mero branco di lupi". Senza contare che le donne non furono mai fatte combattere, dai repubblichini (l'ha notato Miriam Mafai). L'inganno, sostiene Ferrero, non sta nelle vicende (“ma la trama è da feuilleton, a un certo punto il fratello, la sorella, manca solo che spunti la zia e si ammazzino anche tra loro...”), semmai nella circostanza che è stato sottratto loro un contesto: “Manca la Storia con la maiuscola, chi combatteva per cosa”» (J. Iacoboni, “La Stampa”, 27.10,2009).
«Altro che film, questa è una fiction. Faziosa, grossolana, imbarazzante perfino a destra. Ispirato al bestseller di Giampaolo Pansa, diretto distrattamente da un professionista come Michele Soavi, stroncato a 360 gradi alla Festa di Roma, Il sangue dei vinti voleva illustrare le ragioni di chi scelse Salò. Ma si limita a fare propaganda. Così gli italiani sono innanzitutto vittime degli stranieri, nazisti da una parte, alleati dall’altra (massima insistenza, nel prologo, sugli effetti del bombardamento di San Lorenzo, ma non una parola sulle cause di quell’atto di guerra). Le famiglie sono lacerate: qua il fratello partigiano, là la sorella repubblichina, in mezzo il primogenito poliziotto […], che non essendo “mai stato nero né rosso” dovrebbe garantire l’imparzialità […]. I partigiani però sono belve sanguinarie, tanto che pur di non cadere in mano loro il babbo eroe della Grande Guerra (nonché mutilato) si uccide con la moglie […], mentre i “banditi” (la parola ricorre) già sfondano le porte di casa loro... Eccetera. E sì che il primo a parlare di guerra civile fu lo storico progressista Claudio Pavone. Che tristezza» (F. Ferzetti, “Il Messaggero”, 15.5.2009).
«[…] il film ispirato dal libro di Pansa racconta storie dell'Italia allo stremo di Salò in una famiglia con tre figli […]. Specchio del Paese che verrà, cui Michele Soavi dà giusta valenza horror, ma con tale conclamata retorica e falsità che ogni intento e commozione vengono sommerse dallo stile di un prodotto che forse politicamente scontenta tutti e cinematograficamente certo appartiene al terribile cattivo gusto omologato delle biografie tele romanzate, tutte uguali: si chiamano fiction non a caso, fingono di essere cinema» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 8.5.2009).
«Del bestseller di Pansa resta solo il titolo. Non solo perché l'azione si svolge in gran parte negli anni ' 43-' 45 e non riguarda, come nel libro, gli strascichi del ' 45-' 46. Ma soprattutto per un' altra ragione. Il giornalista ha scoperchiato la verità delle vendette dei vincitori, specialmente comunisti, sui vinti fascisti repubblichini e (più o meno arbitrariamente) assimilati, ma senza mettere in dubbio i valori fondanti, senza negare che la guerra civile è stata anche guerra di liberazione. Avrebbe una sua dignità lo sgomento apolitico del poliziotto Michele Placido, diviso tra un fratello partigiano e una sorella brigatista nera. Se non fosse un paravento dietro al quale affermare, tout court, che i primi erano banditi e gli altri patrioti idealisti e difensori dell' onore nazionale» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 8.5.2009).
«[…] il film è brutto, senza ritmo, e non basta a farne un caso eccentrico osservare la Storia soprattutto attraverso gli occhi sporgenti - alla Giorgia Meloni - di una ausiliaria combattente di Salò. Infatti quel che ci si dice è quel che abbiamo sempre sentito ripetere, soprattutto a scuola elementare prima ancora che le privatizzassero. La versione della Resistenza data dalle famiglie di alcune vittime: la criminalità degli alleati; via Rasella infame; le ferocie partigiane; i repubblichini che a differenza di Badoglio non hanno tradito l'alleato; perché non è stato messo fuori legge il Pci come in Germania? e meno male che il gangster Roosevelt è stato poi ridimensionato... […] Dunque siamo grati a Pansa. Nacque così il '68. Eravamo stanchi di falsità e ideologie. Spaccammo, metaforicamente, i televisori che ci trasmettevano questa robaccia invece di Notte e nebbia di Resnais... Nonostante siano illustri creativi i responsabili di questo sceneggiato “all'aperto” (dal regista Michele Soavi, al co-scrittore Dardano Sacchetti, al compositore Carlo Siliotto), qualche raro fellinismo di regia, come la palla che spacca il muro all'inizio, e alcuni calligrafismi apprezzati, nonostante Placido, non sempre catatonico e meditabondo (quasi a chiedersi: chi me l'ha fatta fare), non si entra mai nel “gioco”, anzi nel doppio gioco della storia. Troppi pasticci» (R. Silvestri, “il manifesto”, 8.5.2009).
«Mentre scorreva sullo schermo la “versione corta” della fiction Rai Il sangue dei vinti, ho ripensato all' editoriale di Galli Della Loggia sul “Corriere della Sera” contro l' “Italia falsa delle fiction […] dove tutti sono alla ricerca del nazional-popolare, del ‘semplice ma avvincente e profondo’, epperò ogni volta il risultato è il patetico, il falso, la tirata retorica, la lacrima e il grido che sanno unicamente di artificio”. Sembrava scritto apposta per quello che Michele Soavi aveva tratto dal libro di Giampaolo Pansa, dove la riflessione sugli scontri fratricidi che esplosero durante l'ultima guerra diventa un prevedibile catalogo di luoghi comuni e frasi risapute. A ogni scena ti accorgi che la dittatura dell'audience obbliga a sottolineare sempre ogni cosa, accavallando i colpi di scena per non far calare la tensione, trasformando i dialoghi in tirate a sensazione e la recitazione in mimica esasperata. Di fratelli che scelgono strade opposte […] è pieno il cinema, ma invece di indagare le ragioni delle loro scelte diverse, Il sangue dei vinti finisce solo per sottolineare gli sguardi truci e le mascelle digrignanti. E usa uno spaesato terzo fratello […] per indicare un' ipotetica terza via, né coi partigiani né con i fascisti ma solo con il proprio dovere (è un commissario che vuole indagare sulla misteriosa morte di una prostituta, interpretata dalla Bobulova). Finendo per fare un pessimo servizio anche alle tanto sbandierate ambizioni “revisioniste”. Girato persino con sciatteria (in una panoramica si vede anche un riflettore), con qualche salto di logica e molte incongruenze» (P. Mereghetti, “Corriere della Sera”, 27.10.2008).
Scheda a cura di Franco Prono
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